Da un iPad

Quello che vi sto scrivendo è un iPaost… Un post scritto con un iPad. L’amico Matteo ce l’aveva li, sulla scrivania. C’ho messo un po’ a vederlo, mimetizzato fra la tastiate del computer sul quale stiamo ultimando gli effetti visivi di un cortometraggio. Poi, appena l’ho adocchiato la tentazione è stata troppo grande. Ed eccomi qui a scrivere con questo gingillo, quaranta centimetri di tecnologia inutile ma affascinante, splendida nel suo dirti senza ritegno ma con molta sfacciataggine “hai vissuto bene anche senza di me fino ad oggi ma metti le mani su di me 5 minuti e non mi dimenticherai più, verrai a cercarmi, passerai i prossimi minuti a pensare a quanto sarei utile in quella situazione, e in quell’altra… Ti piaccio vero?”.

Ha vinto lei (parlo al femminile perché è una sirena moderna che con il suo canto ti ipnotizza), ha vinto l’ipad e ha vinto Steve Jobs intuendo che forse la vita non è fatta solo di cose utili e inutili ma anche di cose belle. In fondo lo diceva già Oscar Wilde riferendosi all’arte…

Sinestesia al cinema

È uscito nelle sale della Svizzera italiana oggi, 26 marzo 2010, il primo lungometraggio di Erik Bernasconi Sinestesia. Prodotto da Villi Hermann per la Imago Film, Sinestesia segue le vicissitudini di quattro giovani adulti in due momenti della loro vita, a ridosso di due episodi drammatici separati l’uno dall’altro da tre anni. In questo lasso di tempo i personaggi sono confrontati con le gioie della quotidianità e con le normali difficoltà della vita. Ma si trovano anche a reagire ai colpi di quel destino che ogni tanto, in modo aleatorio, decide di mettere un bivio nelle vite delle persone. Il personaggio centrale è Alan (Alessio Boni).
Attorno a lui sua moglie Françoise (Giorgia Wurth), la sua giovane amante Michela (Melanie Winiger), e Igor (Leonardo Nigro), il suo migliore amico.

Noi della Paranoiko abbiamo collaborato alla realizzazione di questo lungometraggio e siamo ansiosi di vedervi tutti al cinema!!

–> il sito ufficiale

Il Re (e le foglie, sugli alberi, d'autunno)

fallIn un tardo pomeriggio d’autunno il sole infiamma le foglie superstiti al primo freddo.

Nessuno tirerebbe in ballo Ungaretti per giustificare la bellezza delle foglie d’autunno – probabilmente nessuno sente nemmeno il bisogno di giustificarla. Si esprime in un quieto ma denso “qualchecosa” che difficilmente può essere fatto coincidere con un oggetto particolare – nemmeno le foglie stesse – e anche per questo può essere carica di quei mille sottili intrecci che il poeta evoca. Ricchezza sottile e astratta.

“Il re dello spazio infinito” è il soprannome affibbiato di recente ((Il re dello spazio infinito, di Siobhan Roberts, Rizzoli 2006)) ad H.S.M. Coxeter. Che non è un bastimento britannico, ma è l’autore di un libro che mi sono ritrovato tra le mani settimana scorsa, e al cui fascino ho dovuto, di nuovo, soccombere.

Il libro è in formato grande: 28 x 25 cm. È un coffee table book, ovvero da tenere sul tavolino del salotto, magari assieme ad un’antologia di Cartier-Bresson e ad un libro di panoramiche della polysmforesta amazzonica. Contiene immagini molto suggestive –  ma Coxeter non era nemmeno un esploratore (almeno non nel senso geografico del termine). Coxeter era un geometra, nel senso di un matematico che fa geometria. Faceva geometria per certi aspetti anche un po’ “fuori moda”, ma la costante nel suo lavoro è una squisitezza e un’eleganza non comune. E sì: il libro è un libro di geometria: il titolo è “Regular Complex Polytopes” (( Regular Complex Polytopes, di H.S.M. Coxeter, Cambridge University Press, 1974))

Ma cosa ci fa un libro di geometria sul tavolino del soggiorno? Io dico: la stessa cosa che ci fanno le foglie sull’albero fuori dalla finestra.

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Ipse dixit

Cito dall’introduzione di un articolo di matematica che ho letto oggi: (( Gelfand, Goresky, MacPherson, Serganova; Combinatorial Geometries, Convex Polyhedra and Shubert Cells. Advances in Mathematics 63, 301-316 (1987) ))

The geometry of this simple example is so beautiful that we decided to publish it independently of the applications. (( La geometria di questo semplice esempio è talmente bella che abbiamo deciso di pubblicarlo indipendentemente dalle sue applicazioni))

[I.M. Gelfand, R.M. Goresky, R.D.MacPherson, V.V.Serganova]

Una delle domande che mi si rivolgono più spesso riguarda la motivazione della ricerca matematica – e la domanda contiene sempre qualcosa del tipo “e poi cosa ci si può fare?” oppure “a cosa serve?”. Certamente molte idee nate come concetti matematici hanno avuto applicazioni tecniche considerevoli e utili. E spesso anche tra matematici si giustifica lo studio di una questione con il riferimento alle sue “applicazioni” (anche se le “applicazioni” di cui si parla sono ben lontane da problemi di praticità quotidiana). Ma la vera storia, come vedete,  è molto diversa.

E stiamo parlando di ricerca di punta, con autori di primissimo piano. Per dirne solo due, la consonanza di “Gelfand” con “Gandalf” non è priva di significato: il primo sta alla matematica degli ultimi 50 anni come il secondo sta alla magia di Hodgwarts. E MacPherson ha ormai raggiunto il nirvana dell’Institute for Advanced Studies a Princeton; l’ho incontrato ad una conferenza a Oberwolfach – dove una sera, seguendo una scia sonora in biblioteca, l’ho trovato  che suonava una sonata di Haydn su un piano a coda nella stanza musicale dell’istituto.

Uncle Lenny

“Zio Lenny” è il nomignolo con il quale tra i bambini di New York era noto Leonhard Bernstein. Geniale musicista, personaggio di immenso carisma e di classe mondiale… e lo “zio” musicale di tutti i bambini della città.

Ma cos’aveva fatto Bernstein, un personaggio “stellare”, per guadagnarsi l’ammirazione e la familiarità di tutti i bambini? (Continua…)

The Mall

Scrivo dalla parte “storica” di Sacramento, California, nata con la corsa all’oro e cresciuta con la ferrovia transcontinentale aperta nel 1865. Da qui un canale navigabile arrivava alla baia di San Francisco e, quindi, all’oceano Pacifico. Sacramento ha due “Mall” paralleli.

C’è il Capitol Mall, ovvero il vialone che dalla città vecchia porta al parlamento dello stato della California, e, parallelo ad esso, uno Shopping mall – uno di quei centri commerciali che vorrebbero riprodurre una finta strada con negozi e ristoranti.   Molto altro, oltre alla città vecchia kitsch, non c’è. Così, ieri sera per mangiare un boccone sono stato obbligato a far capo ai dintorni del “mall”. E lì, per fortuna,  ho incontrato Arvo e Richard.

carillon

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By special invitation

È il nome del programma che sto ascoltando, avendo per caso acceso la radio. Stasera stanno trasmettendo registrazioni dal vivo di un festival di musica vocale non meglio precisato.

Adesso sta cantando un gruppo Estone, poco fa uno Ucraino, ambedue con antichi canti popolari sacri della loro regione. Armonie affascinanti che si muovono al tempo irregolare ma inesorabile di onde marine, o forse al tempo del “respiro della terra”. Mi sono entrate sotto la pelle.

Poco prima un ensemble tedesco aveva cantato dei mottetti di Bach. L’uomo era senz’altro geniale, perchè nelle sue costruzioni pur così geometricamente, “astrattamente” calibrate respira un’umanità vivissima.

Guglie svettanti costruite dall’ingegno umano come trampolini da cui spiccare il salto verso l’in-conoscibile. Oppure lo sciabordìo omogeneo di voci che si cercano e si immergono in un’armonia di comunità stringendosi attorno al mistero. Quanto diversi sono i modi di porsi davanti agli interrogativi ultimi.

Simile è il suono di voci umane che si intrecciano, senza strumenti che le sostengano: la fragilità di uomini che si mettono in gioco ((studi psicologici mostrano che cantare in pubblico, o anche il solo fatto di aprire la bocca nel modo richiesto dal canto, è uno degli atti di “apertura” e “eliminazione di barriere” pi`u radicali.)) tenendosi per mano in equilibrio sulle funi tese tra una dissonanza e la sua risoluzione. E in questa empatia affrontano / evocano / cercano / celebrano …. (scegliete voi il verbo, e il sostantivo per completare i puntini).

Ecco, forse è anche questa ammissione di fragilità espressa da uomini, voci, ognuna con il suo personale contributo all’intreccio di mani che si sorreggono ad affascinarmi – e a farmi desiderare di unire la mia voce al coro. Ed è l’antitesi di tutto ciò che (per dirla con un eufemismo) mi impedisce di stabilire un legame con le frasi fatte di altre forme di manifestazione “religiosa” urlata e scritta sulle bandiere per radunare le masse dietro alla “verità” prima, e ai fondamentalismi poi.

Good night – and good luck.