A Kabul tutto bene, e si va avanti

Ti alzi dopo una delle notti più silenziose di tutte quelle vissute qui a Kabul. E qui le notti solo sempre molto silenziose visto il parziale coprifuoco. Solo qualche elicottero e il passaggio di una o due jeep. Ancora prima di arrivare alla cucina per la colazione un sms ricorda a te e a tutti i collaboratori del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) che oggi si dovrà rimanere a casa. Il pensiero e le chiacchiere fra di noi, davanti a una splendida insalata di frutta, è in costante ping pong, sballottato fra il volersi ripetere quanto è bello questo posto, quanto concreto ciò che il CICR fa, e l’attacco di ieri a un luogo identico a quello dove ci troviamo ora, a quella guardia, vittima dell’attacco di ieri a Jalalabad e agli altri collaboratori che hanno vissuto un paio d’ore molto dure. E che ora sono accompagnate.

Ogni giorno entri ed esci da cancelli, porte, barriere sorvegliate da guardie di ogni armamento e nazionalità. Non tutti sanno che quelle del CICR sono diverse dalle altre: a tenere aperte le porte della Croce Rossa sono persone del luogo, non armate. Nessun mercenario. Nessun esercito. Niente fucili spianati.

29.05.2013 ICRC Orthopaedic Centre in Kabul
29.05.2013 ICRC Orthopaedic Centre in Kabul

Nessuna arma può entrare negli spazi del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Nelle case, negli uffici, nei centri ortopedici, ogni volta che si entra in un luogo targato ICRC Geneve ci si sente più liberi, rilassati e al sicuro. Nessuna divisa. Neppure le auto con le quali vai e vieni per le vie della città sono paragonabili agli enormi SUV che tutte le organizzazioni internazionali di pari grandezza qui hanno. Nessun vetro blindato, niente guardie armate a farti da scorta, solo una grande croce rossa su ogni lato del veicolo e vari adesivi che ricordano la neutralità che quel simbolo rappresenta. E ti senti bene, vedi altri stranieri girare nei veicoli blindati vestiti di giubbotti antiproiettile; parli con loro e vieni a sapere che non sono mai usciti dal loro compound, che non hanno idea di come sia fatto l’Afganistan e nemmeno Kabul “per motivi di sicurezza” e tu, sebbene hai la libertà di movimento limitata e sottostai a precise regole di sicurezza molto ferree, pensate per evitare di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato, ti ritieni fortunato.


Ieri questa neutralità è stata violata per la prima volta. Nel paese dal 1987, con più di 1800 collaboratori attivi in svariati ambiti, mai il CICR, l’organizzazione più grande del mondo presente su questo territorio, era stato attaccato direttamente. E ti chiedi come mai e perché sia successo. Ti bastano pochi minuti per renderti conto di come la Croce Rossa sia estremamente rispettata e apprezzata da tutta la popolazione. Era qui all’inizio, con i russi, e ha aiutato tutti, indistintamente civili, militari e resistenza. Era qui durante la guerra civile, era qui con i talebani ed era qui nel 2001 quando i riflettori si sono accesi su questa terra. È ancora qui. Sempre con la medesima imparzialità. Basta una passeggiata fra i corridoi dei 7 centri ortopedici sparsi sul territorio e dove in 25 anni sono stati curati più di 120.000 pazienti per farsene un’idea. Nessuno ha chiesto loro se sono talebani, mujaheddin, civili, membri di qualche esercito o forza di sicurezza privata. Tutti convivono sotto lo stesso tetto, in attesa di una gamba artificiale, di tornare a muoversi dopo una lesione grave o di far riparare una vecchia protesi oramai consumata sulle splendide ma spigolose montagne che caratterizzano questo paese. I collaboratori dei centri stessi portano questo messaggio: sono praticamente tutti ex pazienti: ex vittime di questa guerra, ora sono formati come fisioterapisti, tecnici ortopedici o manovali e fabbricano, misurano adattano e consegnano protesi a chi vive la stessa sfortuna.

24.05.2013 Wheelchair Basketball Tournament in Afghanistan
24.05.2013 Wheelchair Basketball Tournament in Afghanistan

Ti bastano alcuni giorni in luoghi come questo per renderti conto che gli afghani sono stanchi della guerra, sono stanchi di ritrovarsi coinvolti in dinamiche che non gli appartengono, fra strategie commerciali, politiche ed economiche che provengono dai paesi confinanti e lontani e che dilaniano il paese da oramai 30 anni. Che cosa vogliono veramente loro, gli afghani? Dopo alcuni giorni passati con Najmuddin, con chi in questa guerra ha perso due gambe e ora dedica la sua vita a rimettere in piedi chi vive la sua stessa sorte, lentamente sto realizzando che loro questa guerra non la vogliono. Loro attendono dai lontani anni ’80 di poter stare in pace. Senza nessun esercito a “proteggerlo” ne a “manipolarlo”. Ma sanno pure che purtroppo non accadrà. È un luogo strategico, è un mercato interessante, è un crocevia, è tante cose l’Afghanistan. Non sta certamente a me analizzare una situazione di cui comunque so troppo poco. Ciò che so, è che la voglia qui è quella di continuare con un pensiero positivo. Di combattere con altre armi che non fanno rumore. Su un campo da basket, ad esempio.

Nessuno ha rivendicato l’attacco di ieri. Speri quindi che sia stato un gesto isolato di qualcuno che voleva fare rumore, e non ha capito un tubo. Governo, ribelli, talebani, pare che nessuno sia al corrente di questo attacco. Pare. Chi di loro oserebbe mettere in ginocchio una delle organizzazioni che lentamente e senza fare rumore cerca di rimettere in piedi le loro vittime. A Kabul tutto bene, e si va avanti. C’è tanta gente che vuole guardare al futuro e la rabbia più grande è che oggi non possiamo andare al lavoro. Questo luogo è magnifico, e la gente di qui lo vuole libero dalla guerra. Questo è ciò che vedo.

4.3.2013, Kabul city
4.3.2013, Kabul city

aggiornamento 3.6.2013

I ribelli talibani hanno negato di essere coinvolti nell’attacco e una folla di disabili ieri ha manifestato davanti alla delegazione di Jalalbad del Comitato Internazionale della Croce Rossa per condannare l’attacco ai danni dell’organizzazione neutrale e imparziale. Maggiori dettagli.

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